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Coinvolti migliaia di dipendenti in tutto il mondo mentre in Italia si apre il “nodo esodati” per 1150 persone


Con l’estate ormai alle porte e i termometri tra i 22 e i 25 gradi quasi in tutta Italia, ecco arrivare, puntuale, la sesta edizione della campagna “Eni si toglie la cravatta”.

Un’iniziativa che, in perfetto stile di responsabilità sociale d’impresa, nel 2007 ha coinvolto direttamente tutti i dipendenti. Un referendum interno per capire se: “siete favorevoli all’adozione di uno stile di abbigliamento più informale durate l’estate?”, ha visto d’accordo il 90% dei lavoratori. Da allora, ogni estate, chi lavora negli uffici di San Donato Milanese e all’Eur a Roma (ma anche nel resto del mondo dove Eni conta 80.000 persone) deve dotarsi di polo a maniche corte, pantaloni di lino e camice sbottonate sul collo. Ovviamente non è dato sapere quale è l’abbigliamento consigliato alle donne dal momento in cui si dà per scontato che abiti smanicati e gonne leggere consentano di “stare più fresche”. Un accenno, forse, avrebbe potuto essere gradito sempre nel nome della responsabilità sociale d’impresa. Se invece non si vuole rinunciare all’eleganza, tanto cara ai manager italiani, sarebbero da bandire il colletto floscio, quelli piccoli e tondi che pochi possono permettersi e preferire invece una camicia button down, il collo casual per eccellenza che con due bottoni può anche diventare ricercato.

Ma al di là dei particolari prettamente estetici e all’attenzione verso le dipendenti donne, ciò che Eni dichiara rispetto al suo impegno ambientale sono dati comprovati scientificamente: un solo grado in più negli edifici consente di risparmiare circa il 9 per cento di energia elettrica e una proporzione equivalente di Co2

Quindi, semplicemente adottando un abbigliamento più informale, è possibile alzare di un grado la temperatura negli edifici contribuendo così a risparmiare circa il 9% di energia elettrica e altrettante emissioni di Co2. L’ultima edizione ha visto il risparmio di 430.000 kWh di energia elettrica, pari a una riduzione del 9,5% dei consumi elettrici per il condizionamento. Che vuol dire, tradotto in termini pratici, quanto avrebbero consumato 125 famiglie per quattro anni (ipotizzando un consumo medio annuo famigliare di 2700 kWh da AEEG). Le emissioni di CO2 evitate nei giorni in cui è stato regolato il condizionamento, sono invece paragonabili alle emissioni prodotte dalle auto di 1.230 dipendenti nel tragitto casa-lavoro (ipotizzando un percorso medio casa-lavoro di 15 km).

E anche qui, si potrebbe aggiungere che un altro passo sarebbe quello di disincentivare fortemente l’uso dell’auto privata per recarsi al lavoro e offrire soluzioni alternative.

Ci sono una serie di iniziative a cui stiamo lavorando in collaborazione con la società Muoversi. Il primo è quello di promuovere l’uso dei mezzi pubblici attraverso delle facilitazioni offerte ai dipendenti nel pagamento dell’abbonamento annuale. L’importo può essere dilazionato e scalato mese per mese dalla busta paga. I lavoratori Eni che utilizzano la metropolitana possono poi godere del servizio navetta gratuito per raggiungere gli uffici.

In ultimo,  fanno sapere da Eni, “stiamo prestando la massima attenzione al nostro parco veicoli interno, che deve essere ecologico, efficiente e performante. A chi si sposta spesso, ad esempio dalla sede all’aeroporto, proponiamo auto condivise da più dipendenti”.

Soluzioni che richiedono impegno (tanto) e tempo (ancora di più) e che, come sottolineano da ENI, “ci stanno a cuore nell’ottica di creare una consapevolezza comune, partendo dalla nostra realtà. Per farlo occorre però anche la collaborazione delle strutture pubbliche che si occupano, ad esempio, dei trasporti urbani”.

E poiché per ENI sostenibilità vuol dire anche: “considerare la tutela della salute come un requisito fondamentale e promuovere il benessere psico-fisico delle sue persone”,  i dipendenti vengono prima di tutto.

Secondo quanto riportato dall’Espresso, in edicola oggi, sarebbero 1150 gli esodati tra i dipendenti ENI. La riforma Fornero ha aperto nell’azienda di Paolo Scaroni un tavolo di crisi, ora al lavoro, per decidere il destino di quei lavoratori che hanno risolto il rapporto e che rischiano di trovarsi senza pensione e senza lavoro. Ma non solo. C’è il rischio di una riduzione significativa di posti di lavoro, rispetto a quanto stabilito dall’accordo di mobilità firmato due anni fa dall’azienda e, ancora, il problema di come re-impiegare quei lavoratori anziani che hanno deciso di rimanere in azienda e che non possono essere demansionati.