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L’ambientalismo torna alla ribalta delle cronache dei giornali. Mentre  la Germania e l’Inghilterra pensano di rivedere i piani per ridurre le emissioni, in Italia si discute se accellerare con le politiche di riduzione delle emissioni. Sul piatto quasi due miliardi che fanno gola a tanti.

climat changeDa qualche giorno alcuni autorevoli quotidiani, in primis il Corriere della Sera stanno dedicando intere pagine ai temi dell’ambiente e dell’energia più o meno pulita. Il 5 giugno scorso si è festeggiata la Giornata mondiale della Terra ma, aldilà delle ricorrenze ufficiali, la discussione sembra essere andata oltre. Autorevoli firme del quotidiano diretto da Ferruccio De Bortoli, Danilo Taino ((statistical editor) e Stefano Agnoli (vice capo redattore economia ed esperto di energia),  hanno espresso il proprio pensiero che di ambientalista ha ben poco. Sul banco degli imputati ci sono le rinnovabili e le politiche per arginare i cambiamenti climatici, cavallo di battaglia dell’Unione Europea che per anni ha sostenuto con le unghie e con i denti il Protocollo di Kyoto. Oggi però tutto ciò sembra avere un costo troppo elevato. Per le aziende che producono in Europa, secondo l’analisi di Danilo Taino, fatto 100, l’elettricità costa 137, in Giappone 117 mentre negli Stati Uniti 96.

Le politiche ambientali dell’Unione Europea (e la produzione discontinua di energia da parte degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), hanno messo in crisi tantissimi produttori energetici. La battaglia che si sta consumando in Italia, a suon di sondaggi e articoli su autorevoli quotidiani, è ancora una volta tra gli eroi che lottano per un mondo più pulito di fronte a chi invece lo sporca. In realtà se il nostro paese decidesse di puntare dritto verso le politiche virtuose di riduzione delle emissioni potremmo dover mettere sul piatto altri due miliardi. E per ridurre la Co2, oltre a ridurre i consumi, dovremmo sostenere l’ efficientamento energetico e lo sviluppo delle rinnovabili. Una strada che non piace certo a chi produce energia da fonti tradizionali e che non ha nessuna intenzione di stare alla porta a guardare.

Puntuale è arrivata sul Corriere della Sera la risposta di Chicco Testa che in qualità di imprenditore (e non di presidente di Assoelettrica, l’associazione delle imprese elettriche ), ribadisce la necessità di saper conciliare crescita e ambiente. In discussione, ancora una volta, l’efficacia del pensiero ambientalista che, secondo Chicco Testa, “deve essere mondato da ideologie astratte. C’è bisogno di più politiche e meno politica”. “Un ambientalismo senza steccati”, quindi, come lo definisce Stefano Agnoli nel suo articolo del 7 giugno ricordando che, “solo nel 1989, il movimento ambientalista ebbe il suo momento di gloria con il  6% alle elezioni europee”.

A questo punto però sorge spontanea la domanda del perchè autorevoli editorialisti si sono scomodati per parlare di un fenomeno che, almeno apparentemente, sembra essere fallimentare su più fronti e soprattutto del perchè viene “tirato in ballo” proprio adesso. Una risposta potrebbe arrivare, tra le altre, dagli obiettivi fissati dalla Strategia Energetica Nazionale consegnata dal Governo Monti al nuovo esecutivo. Per arrivare a ridurre i gas serra nel medio periodo potremmo dover spendere altri due miliardi, tra certificati bianchi per l’efficienza energetica, conto termico e incentivi alle rinnovabili.

Il costo dell’energia quindi, ancora una volta, il nocciolo del problema. Un costo con cui l’Unione Europea sta cercando di fare i conti mentre  la soluzione non sembra dietro l’angolo. Una maggiore integrazione dei sistemi energetici europei potrebbe portare alla copertura dei picchi di produzione di un paese confinante ed evitare di dover intervenire per sostenere la produzione delle centrali termoelettriche, vale a dire di dover introdurre il cosidetto capacity payment che andrebbe a gravare sulle bollette dei consumatori.  Le fonti rinnovabili – peraltro volute  – hanno naturalmente portato scompiglio nel sistema energetico ma a questo punto non si possono scontentare gli altri produttori, nè abbandonare gli obiettivi già prefissati. Una bella matassa da sbrigare dove l’Europa sembra essere prigioniera delle sue stesse scelte.

Ma cosa c’entra tutto questo con il fenomeno dell’ambientalismo evocato in questi giorni? Negli anni Sessanta, quando l’ambientalismo è nato, c’era l’esigenza di comunicare temi difficili in pieno boom economico dove nessuno si poneva il problema delle propria “impronta ecologica”. Ecco allora che per farci riflettere sono arrivati i messaggi catastrofici: le pioggie acide, la desertificazione, la forza distruttiva della natura. Paure irrazionali cavalcate soprattutto a sinistra che hanno portato a invocare un ritorno al passato perchè il presente, cioè la modernità, ci fa ammalare, ci fa respirare aria viziata, ci fa morire di sete e di carestie.

Non sarebbe meglio vivere in un mondo (o meglio ancora in un paese) dove tutto non è solo bianco o solo nero ma dove ogni caso è un caso a sè stante e dove ognuno ha la possibilità di comprendere che cosa sta realmente accadendo? Solo attraverso la consapevolezza e la conoscenza l’eroe potrà permettersi di sbagliare senza per questo essere condannato all’inferno. E soprattutto, tra gli eroi, non ci saranno solo i portatori di interessi per cui l’ambientalismo  viene tirato in ballo secondo le necessità ma anche chi desidera realmente un cambio di passo per il mondo.

Per anni si è vissuto nel culto dell’ambiente e non nella cultura dell’ambiente e la retorica ha potuto prendere il sopravvento. Oggi è necessario abbandonare le illusioni e adottare politiche concrete e soprattutto smetterla con la strumentalizzazione. La speranza è che le nuove generazioni siano più coraggiose, adottando nuove forme comunicative dove non esistono più solo i buoni o i cattivi, i favorevoli o i contrari ma soggetti informati, capaci di valutare caso per caso quale sia un’opportunità e quale invece un pericolo.

Mischiare energie rinnovabili, cambiamenti climatici, ideologia verde e politica non favorisce certo questo processo di conoscenza e consapevolezza. Diversamente, si rischia solo l’immobilismo a favore di “poche anime belle” e a discapito di un pianeta che, ambientalismo o meno, non sta certo vivendo un momento felice.

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