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In Puglia, dopo anni di sfruttamento del territorio, oltre all’emergenza occupazionale rimane ben poco

Schiavi, incatenati al tavoliere delle Puglie, non per raccogliere fragole o pomodori come da atavica mancipatio ma moderni automi della green economy. Nelle distese di pannelli solari lavoravano a ritmo serrato, per dodici e più ore, a montare e smontare senza sosta moduli di silicio. Spettri di luce senza nome né volto, giunti fin qui dal lontano Pakistan, dal Ghana o dal Sudan, un esercito costretto al silenzio dalla clandestinità. Energie rinnovabili anche loro, chi parlava veniva cacciato e al suo posto nuove braccia erano pronte a sostituirlo. A costringerli in catene non è la mafia ma una peggiore forma di criminalità organizzata: l’industria del profitto senza regole.

Così scriveva il 20 aprile 2011 Matteo Zola su Narcomafie, il mensile del gruppo Abele che si occupa di narcomafie e criminalità organizzata.

E risale ad allora l’arresto di nove persone, fra soci, amministratore e capocantieri della società italo-spagnola Tecnova. Dopo solo un mese però il Tribunale del Riesame di Lecce annullò l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione e mantenimento in schiavitù.

E fin qua siamo alla cronaca dei fatti, come ben racconta il video realizzato da Mario Sanna per Rai News 24.

Ma la situazione in Puglia, non è cambiata e la corsa frenetica a ciò che rimane degli ultimi incentivi disponibili è ancora in atto.

Molti dei lavoratori ex Tecnova”, ha spiegato Antonella Cazzato, della CGIL Lecce, “sono tornate a lavorare nei campi e le condizioni per quei disperati non sono cambiate

Persone “senza soluzione di continuità”, spostati da un campo all’altro. Nel Salento tutti conoscono l’inchiesta “Sabr” (dal soprannome di un caporale), condotta dalla pm Elsa Valeria Mignone insieme al Ros dei carabinieri e al comando provinciale di Lecce. “Un meccanismo”, si legge nella documentazione, “possibile grazie allo stato di completa soggezione che veniva instaurato tra i reclutatori, i caporali e i lavoratori, privati dei documenti di identità, della possibilità di muoversi autonomamente, determinato anche dalla non conoscenza della lingua italiana e dalla più totale indigenza, ottenuta facendo pagare loro ogni cosa, dall’alloggio al cibo.

La cosa più assurda è che neanche un centesimo dei soldi spesi dalle aziende straniere in Puglia è rimasto sul nostro territorio. Non un pannello prodotto in Puglia è stato mai montato in questi campi. Mi chiedo come si possano incentivare delle aziende se poi l’impresa non ha nessun tipo di sensibilità sociale.

Una transumanza di lavoratori”, ha continuato Antonella Cazzato, “di cui è praticamente impossibile avere chiare le dimensioni e la portata. Un fenomeno  che ripropone la grande emergenza della nostra terra: lo sfruttamento del territorio ma anche lo sfruttamento umano in cambio di lavoro”.

Purtroppo”, ha proseguito la rappresentante della CGIL, “le maglie larghe di una normativa, avallata dalla politica, ha permesso lo scempio a cui stiamo assistendo e di cui, all’inizio, non eravamo forse consapevoli. La nostra terra, del sole, del mare e del vento, è stata presa d’assalto senza che nessuno intervenisse”.

L’energia rinnovabile (compreso l’eolico) è solo la punta dell’icerberg delle emergenze ambientali che la Puglia vive da anni: basti pensare agli inceneritori, all’inquinamento prodotto dai fumi dell’Ilva e all’alta percentuale di tumori, alle piccole e medie aziende su cui non c’è nessun tipo di controllo ambientale, all’inquinamento delle acque.

Ed è’ cronaca di questi giorni un’altra emergenza occupazionale in Puglia. La Vestas, colosso danese produttore di turbine eoliche, ha comunicato di non voler applicare gli ammortizzatori sociali previsti in Italia per i 41 dipendenti delle sedi di Taranto e Roma. Il 21 giugno prossimo è previsto un incontro al Ministero delle Attività Produttive per discutere della delocalizzazione dell’azienda a cui i sindacati si stanno opponendo per salvaguardare il lavoro in un’area, quella di Taranto, già in forte crisi.