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Un paese di corrotti e corruttori che si gira dall’altra quando si parla di corruzione, invaso da leggi ad personam che non risolvono il problema ma che accentuano la debolezza del sistema di prevenzione e controllo. Per l’88% degli italiani, le mazzette e l’utilizzo di legami, sono il modo più semplice per ottenere alcuni servizi pubblici

images (1)Siamo un Paese di corrotti e corruttori. Basta ricordare che,  tra il 2008 e il 2012, sono stati 90 i parlamentari indagati, condannati o arrestati per corruzione, concussione, truffe e abuso  d’ufficio, ovvero circa il 10 per cento di quelli che siedono alla Camera o al Senato. E non finisce qui. Un recente studio della Banca Mondiale parla di una crescita del 25% di aziende costrette a pagare tangenti per fronteggiare una pubblica amministrazione corrotta. Come ha dichiarato, Luigi Giampaolino, Presidente della Corte dei Conti, nel corso dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2013, «il nostro Paese ha bisogno di un ritorno all’etica del rispetto del denaro pubblico, delle funzioni dell’interesse pubblico

Lo dice la Corte dei Conti ma ora lo dice anche l’Europa nel “Rapporto 2014 anticorruzione”. Il totale dei costi diretti della corruzione in Italia ammonta a 60 miliardi di euro ogni anno, pari al 4% del Pil italiano, cioè metà dei danni provocati in Europa, indicati dalla Commissione in 120 miliardi di euro l’anno. Secondo il rapporto, tre quarti dei cittadini europei e il 97% degli italiani, ritengono che la corruzione sia diffusa nel proprio Paese. E per due europei su tre, e per l’88% degli italiani, le mazzette e l’utilizzo di legami, sono il modo più semplice per ottenere alcuni servizi pubblici.

E tra i “suggerimenti” che arrivano da Bruxelles in primis, quello di perfezionare la legge sulla corruzione: “frammenta le disposizioni su concussione e corruzione, rischiando di dare adito ad ambiguità nella pratica e limitare ulteriormente la discrezionalità dell’azione penale”. Sono “ancora insufficienti le nuove disposizioni sulla corruzione nel settore privato e sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti. La prescrizione è un problema “particolarmente serio per la lotta alla corruzione in Italia”, secondo Bruxelles, perché termini, regole e metodi di calcolo, sommati alla lunghezza dei processi, “determinano l’estinzione di un gran numero di procedimenti”.

Insomma, ci fa sapere Bruxelles, i tempi della nostra Giustizia sono un freno alla lotta alla corruzione su cui però, almeno secondo il Governatore della Banca d’Italia, Gerardo Visco, bisogna intervenire immediatamente. “L’illegalità e la corruzione frenano l’economia del nostro Paese, sono un deterrente alla crescita“, ha dichiarato Visco intervenuto a un convegno sulla legalità organizzato da Palazzo Koch e dal CSM. E sul banco di prova sono chiamate anche le banche. “L’esercizio di valutazione complessiva dei bilanci delle principali banche dell’area dell’euro rappresenta il primo passo verso la vigilanza unica europea; per le banche che saranno vigilate in forma accentrata esso costituisce un importante banco di prova”, ha proseguito il Governatore della Banca d’Italia

Un importante passo in avanti che si scontra però, ancora una volta, con una realtà tutta italiana. O meglio, che si “deve confrontare” con una classe politica che negli ultimi anni si è spudoratamente auto-assolta, sottraendosi ai vincoli di codici etici o di strumenti per rendicontare il proprio operato, attraverso l’emanazione di leggi e  leggine ad personam per salvaguardare imputati eccellenti. Da due decenni si attendono le misure più necessarie e urgenti: la riforma dei tempi di prescrizione dei processi; la mancata tutela di chi denuncia chi è corrotto; la trasparenza degli appalti pubblici; il rafforzamento del reato di falso in bilancio; il voto di scambio politico-mafioso e le infiltrazioni criminali nella sfera della politica e dell’amministrazione pubblica; la trasparenza delle situazioni patrimoniali, la corruzione nel settore privato. Per non parlare poi del male dei mali: il conflitto di interessi che le  25 cariche del dimissionario presidente dell’INPS, Antonio Mastropasqua, hanno “finalmente” riportato all’attenzione del Governo.

Ma la perversione di fondo, a ben guardare, rimane: abbiamo introdotto per legge i criteri di ineleggibilità e incompatibilità in caso di condanne per gravi reati. Ciò vuol dire però che, a differenza dei più moderni Stati nordeuropei, non siamo in grado di autocontrollarci e soprattutto, a differenza di questi paesi, continuamo a votare e a credere in chi è pregiudicato o condannato per frode fiscale. In un paese normale nessuno di questi otterebbe ampio consenso elettorale o ricoprerebbe incarichi pubblici. E naturalmente non sono solo i politici ad essere i colpevoli di tutti i nostri mali.

Se anche  le aziende,  si comportassero in modo etico, sarebbe forse più facile definire dei codici di condotta per non pagare “le commissioni”. Ma in Italia, lo sappiamo, in nome e per conto dei buoni affari tutto è lecito. Non importa l’appartenenza politica; conta solo la posta in gioco.