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Secondo un’indagine condotta da Gfk Eurisko gli italiani sono a favore del rispetto e della tutela ambientale ma solo se costa poco. Solo per il 35% l’attenzione all’ambiente si traduce in termini di risparmio.

bioA parole sono tutti favorevoli ma nei fatti , per gli italiani, la tutela dell’ambiente è fattibile solo se non comporta esborsi economici. Questo è ciò che emerge da una ricerca condotta da Gfk Eurisko, promossa da Tenderly, su un campione di 800 responsabili acquisti con età superiore ai 18 anni, per verificare la propensione verso il rispetto dell’ambiente e l’innovazione in relazione ai prodotti di largo consumo.

I prodotti attenti all’ambiente sono percepiti positivamente ma ritenuti in genere più costosi. Per questo gli italiani preferiscono adottare piccole pratiche quotidiane, facilmente attuabili, come ad esempio, ridurre gli sprechi.  Sei le azioni più praticate: fare la raccolta differenziata (57% degli intervistati); evitare di sprecare carta (36%); usare prodotti che riducono gli scarti (33%); usare prodotti totalmente o almeno in parte riciclabili (26%), usare carta riciclata (25%), pensare a differenti destinazioni d’uso delle confezioni dei prodotti prima di buttarle (24%).

Ottime dichiarazioni d’intenti che però si scontrano con un dato di fatto: per il 42% degli italiani stare attenti all’ambiente costa di più. Solo per il 35%, e questo è un dato preoccupante perchè restituisce un campione poco informato, vuol dire risparmiare. Numeri che impongono una riflessione importante: da un lato un consumatore non dovrebbe essere indotto dal prezzo ad una scelta “ecologically correct” ma dalla propria sensibilità e dalla possibilità di adottare comportamenti realmente virtuosi. Ed ecco che di fronte a un problema di tipo prevalentemente culturale entra in gioco, ancora una volta, il ruolo del regolatore.

L’orientamento all’acquisto verso un prodotto rispettoso dell’ambiente, non dovrebbe avvenire solo “per buone intenzioni” o per disponibilità economica, ma dovrebbe essere una scelta imposta dall’alto, definita a monte dal legislatore. Basti pensare, ad esempio, alle shopper oggi praticamente scomparse e sostituite dalle bio-shopper.

Un meccanismo che, tra l’altro, se ben gestito, porterebbe innovazione e spingerebbe le aziende ad investire in tal senso. Un altro esempio, il packaging delle bottiglie di plastica su cui la ricerca,  negli ultimi anni, ha fatto passi da gigante. In Germania, ad esempio, le aziende che non propongono packaging a basso impatto vengono tassate e addirittura la tassazione cambia da regione a regione.

Un dato confermato peraltro dalla stessa indagine di Eurisko, secondo la quale il 79% degli intervistati crede che l’innovazione sia portatrice di risparmio e miglioramenti a loro beneficio mentre l’81% sarebbe addirittura disposto a spendere di più per acquistare un prodotto innovativo. Secondo il campione poi, avere a disposizione prodotti nuovi e innovativi rende più gradevole lo shopping al supermercato ed è una leva per adottare nuovi stili di consumo.

Di fronte a questa analisi però non è chiaro cosa vogliono gli italiani: se risparmiare realmente, se rispettare l’ambiente o semplicemente essere alla moda acquistando l’ultimo prodotto “eco-sostenibile”. Una cosa è certa. Oltre alla confusione non c’è sicuramente consapevolezza su quali sono le “buone pratiche” da adottare e soprattutto su cosa (e quanto) siamo disposti a rimetterci per adottarle.