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Un indicatore per misurare qualità e innovazione e assicurare il benessere alle generazioni future 

E’ possibile quantificare e dare una misura economica a un valore che si direbbe intangibile come la qualità? O stimare l’incidenza di diritti e benessere dei cittadini e dei lavoratori, rispetto per l’ambiente o creatività, professionalità, legame con il territorio o coesione sociale, su una filiera produttiva? In altre parole, quanta parte dell’economia del nostro Paese, e quindi del PIL, è riconducibile alla qualità e come tale può essere misurata e monetizzata?

Per rispondere a tutte queste domane Fondazione Symbola e Unioncamere hanno ideato e promosso il Rapporto PIQ – Prodotto interno qualità. In tempi di grave crisi, infatti, ha acquisito sempre maggior forza il dibattito da tempo aperto per trovare nuovi indicatori da affiancare al PIL, per calcolare tutto quello che non è compreso nel prodotto interno lordo e leggere meglio l’economia, così come le tendenze in atto e poter quindi affrontare la crisi con strumenti adeguati. Il PIQ si propone quindi come indicatore da affiancare al PIL, per misurare il posizionamento e quindi le performance del Paese, o di un settore di attività, rispetto al parametro della qualità, come valore aggiunto e ingrediente indispensabile per assicurare non solo il benessere attuale, ma anche quello delle generazioni future.

Secondo il rapporto l’Italia è un paese spaccato in due: da una parte vuole puntare sui valori competitivi, dall’altro è condizionato dall’illegalità e dall’indifferenza verso i temi ambientali e i valori sociali. E la parte sana, fatta di innovazione, ricerca, creatività, cultura e saperi territoriali, è quella che il progetto Piq ha cercato di far emergere. Con un risultato sorprendente: il Prodotto Interno Qualità calcolato per il 2011 è pari al 47,9% del PIL, per un valore che sfiora i 460 miliardi di euro.

Non solo. Il PIQ 2011 vale quasi la metà del nostro prodotto interno lordo ma rispetto al 2010, quando era pari al 47% del PIL per un controvalore di 445 miliardi di euro, può vantare una crescita nominale di oltre il 3%.

Nella crisi più nera, dunque, il sistema Italia ha ripensato il proprio modello di sviluppo puntando su una progressiva qualificazione delle proprio produzioni. In altre parole, per battere la crisi e la concorrenza sempre più agguerrita sui prezzi al ribasso, il sistema produttivo italiano ha puntato sulla qualità e sul rilancio competitivo.

Analizzando l’andamento di PIL e PIQ per il biennio 2010/2011 si evidenzia inoltre come la qualità cresca a un tasso superiore: 3% per la crescita nominale del PIQ contro l’1,5% del PIL. Dunque le imprese che investono in qualità e innovazione hanno propensione alla crescita doppia rispetto a quelle che cercano di andare avanti semplicemente contenendo i costi. Si conferma, dunque, il ruolo della qualità come driver che permette di sostenere i livelli di competitività sui mercati.
Non solo, ma le imprese che puntano sulla qualità realizzano anche migliori performance nelle esportazioni, se è vero come è vero che i mercati internazionali riconoscono la crescita qualitativa italiana. Analizzando l’andamento dei Valori Medi Unitari delle esportazioni, assunti come indicatori dell’evoluzione qualitativa delle nostre produzioni, si scopre dal 2007 al 2011, in un periodo connotato da difficoltà di natura straordinaria, che le nostre imprese hanno mediamente accresciuto del 10,7% il valore delle esportazioni.